Ultimo aggiornamento  09 giugno 2023 19:35

La prima vittima di Brexit: l'auto.

Enrico Artifoni ·

La sterlina scende, i prezzi delle auto salgono e le vendite vanno a rilento. E' questa la dinamica innescata nel Regno Unito dall’esito del referendum del giugno scorso. A meno di quattro mesi dal sì di stretta misura alla Brexit, cioè l’uscita dall’Unione Europea, oltremanica si cominciano a percepire gli effetti del voto. Negativi non solo per il mercato ma anche per l’industria britannica dell’auto, che rischia di scontare l’imposizione di tariffe sull’esportazione di veicoli in Europa. E nell’incertezza sui tempi e i modi della separazione c’è chi, come Nissan, chiede garanzie per continuare a investire nel Paese.

Effetto cambio

L’annuncio da parte del premier inglese  Theresa May dell’avvio solo nel prossimo marzo della procedura per la Brexit, con la prospettiva di chiudere la trattativa nella primavera del 2019, non ha rassicurato i mercati finanziari, anzi. Sicché in aggiunta al 10% che aveva perso subito dopo il voto, la sterlina inglese ha ceduto un altro 5% rispetto all’euro. Una svalutazione che pesa e non poco  sui ricavi delle case automobilistiche. Alla filiale europea di General Motors, che nel Regno Unito  ha il suo primo mercato, è costata già 400 milioni di euro. E sono 200 quest’anno e 500 l’anno prossimo i milioni di dollari di perdite sul cambio attesi da Ford, che nel Paese è la marca leader.

Listini al rialzo

La reazione non si è fatta attendere. Per compensare la perdita di valore della sterlina è partita una sfilza di aumenti dei prezzi. Dopo Psa, che ha alzato mediamente i listini del 2% per tutte e tre le marche (Peugeot, Citroën e DS), è stata la volta di Ford (+1,5%), Nissan (dall’1,5 al 2%), Honda e Suzuki . E sono già due i rialzi (del 2,5% ciascuno) per le vetture Opel, che in Gran Bretagna sono marchiate Vauxhall.

I privati non comprano più

Con il sì a Brexit, i cittadini del Regno Unito hanno decretato anche la fine di un lungo periodo di forte crescita del mercato inglese dell’auto. Aumenti dei prezzi e incertezza sul futuro hanno mandato al tappeto le vendite ai privati.  E si deve solo al balzo delle immatricolazioni a noleggi e flotte se il segno è rimasto positivo (+1,6% in settembre). “Ma con queste auto”, spiega  Tina Mueller, capo del marketing  di Opel, “profitti non se ne fanno”.

Compensazione o addio Juke

E poi c’è il problema delle fabbriche. Prima fra tutte per importanza, con una produzione annua di oltre 500mila unità per la gran parte esportate, quella di Nissan a Sunderland da cui escono i due modelli di maggior successo della marca in Europa, cioè Qashqai e Juke. La possibilità che la Ue imponga un dazio del 10% sulle vetture provenienti da Oltremanica ha spinto la casa giapponese a sospendere gli investimenti su questo impianto. A rischio per prima è la produzione a Sunderland della prossima generazione della Juke. “Per andare avanti”, ha detto chiaro e tondo il ceo di Nissan, Carlos Ghosn, “chiediamo l’impegno del governo inglese a compensare i costi di eventuali tariffe doganali”.

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