Per quasi tre anni la debolezza dello yen in rapporto al dollaro e all’euro ha permesso ai costruttori di auto giapponesi di approfittare delle esportazioni per mettere a segno grandi e facili guadagni. Ma con il rallentamento dell’economia in Nord America, la complicità di Brexit che ha depresso la sterlina inglese proprio in favore dello yen (considerato dai grandi investitori una moneta rifugio) e la forte svalutazione delle monete degli ex mercati emergenti, ciò che prima era un vantaggio ora è una palla al piede.
Bilanci negativi
Nei primi tre mesi dell’anno fiscale giapponese, che comincia in aprile, lo yen si è rafforzato sul dollaro (e di conseguenza sull’euro, che è rimasto in equilibrio nei confronti della moneta Usa) del’11% circa. Se prima da un biglietto verde si ricavavano 120 yen, ora in cassa ne arrivano 105. E quasi tutti gli analisti ritengono appropriato questo rapporto di cambio, che ha subito intaccato i ricavi e gli utili delle Case giapponesi. Come si evince dalle trimestrali dei tre maggiori player, cioè Toyota, Nissan e Honda.
Toyota taglia i costi
Cominciamo da Toyota, che oltre alla forza dello yen ha dovuto scontare gli effetti del terremoto dell’aprile scorso a Kumamoto, cioè uno stop nelle fabbriche che ha fatto perdere la produzione di 80mila auto. Il secondo costruttore al mondo ha annunciato per il primo trimestre un calo del 15% dell’utile operativo, a 642 miliardi di yen (circa 6,3 miliardi di dollari). Ha poi rivisto al ribasso le stime di guadagno per l’intero anno, a 1.600 miliardi di yen, dopo che, come ha detto il suo presidente Akio Toyoda, “il tasso di cambio ha favorito l’azienda negli ultimi anni oltre le sue reali capacità”. E ha subito messo in atto varie misure di contenimento dei costi, persino la fermata degli ascensori e dei condizionatori d’aria negli uffici del quartiere generale, già adottate in passato nei momenti di crisi.
Anche Nissan in frenata
Rispetto a Toyota, che produce il 40% dei suoi 10 milioni di auto nel Paese d’origine, Nissan è meno esposta sull’export (lo scorso anno dalle sue fabbriche in Giappone sono uscite 873mila vetture, su un totale di 5,2 milioni su scala globale) ma nel primo trimestre dell’anno fiscale l’azienda di Yokohama ha dovuto incassare ugualmente un calo dell’utile operativo del 9,2% e di quello netto del 10,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Honda se la cava
Stessi problemi - yen forte e terremoto - per Honda, che tuttavia è riuscita a farvi fronte e a bilanciarne gli effetti con il buon andamento delle vendite in seguito al lancio di nuovi modelli (soprattutto in Cina), la riduzione dei costi e il calo delle spese per richiami dovuti a difettosità. A fronte di volumi di vendita incrementati nel trimestre da 888 a 908 mila automobili e da 2,5 a 2,8 milioni di motociclette, i ricavi sono scesi da 3,7 a 3,5 miliardi di yen (-6,3%), ma principalmente a causa del cambio sfavorevole, al netto del quale Honda calcola un +4,5%. Il terzo produttore giapponese ha lasciato comunque immutate le attese di profitto per l’intero anno: 600 miliardi di utile operativo e 390 al netto delle imposte, con una marginalità in crescita dal 3 al 4%.