Quattro miliardi e quattrocentomila euro di utile operativo nel secondo trimestre del 2016, con un incremento del 20% rispetto a quello dell’anno scorso; 7,5 miliardi per l’intero semestre. Il gruppo Volkswagen si scrolla di dosso a suon di contante (almeno per oggi) le critiche che lo accompagnano dallo scoppio del dieselgate, e mette a tacere tutti con un balzo del titolo in borsa del 6%.
Cifre record, che solo l’ammortamento necessario per affrontare lo scandalo del software tarocco riducono a un più modesto utile di 5,3 miliardi di euro per i primi sei mesi. La differenza sono appunto i 2,2 miliardi di nuovi fondi accantonati, forieri probabilmente di altre cattive notizie in arrivo, sulle quali torneremo a ragionare.
Ci pensano Audi e Porsche
I gioielli della corona Audi e Porsche sono dunque riusciti ad equilibrare la debolezza del marchio Volkswagen e il contraccolpo commerciale che lo ha colpito anche in Europa in seguito alla denuncia americana. Persino il brand di Wolfsburg, secondo gli analisti, sarebbe riuscito a far registrare guadagni prima delle tasse pari al 3%. Il ventaglio completo dei profitti sarà rivelato come da calendario tra otto giorni,e ci dirà se è vero, come la Volkswagen aveva detto all’inizio dell’anno, che l’emorragia del diselgate si è fermata con i 16,2 miliardi di euro iscritti a bilancio l’anno scorso.
Problemi negli Usa
Il nuovo accantonamento di 2,2 miliardi segnala però che i guai americani non sono finiti e la cronaca degli ultimi giorni lo conferma. Lo stato della California ha rigettato la proposta di richiamo dei diesel inquinanti, sostenendo che il rimedio offerto dalla casa non è sufficiente a far tornare in circolazione auto che rispettino i limiti sulle emissioni. Le procure generali di New York e del Massachussetts hanno aperto nuovi procedimenti legali molto insidiosi, non tanto per l’ammontare dei danni richiesti (450.000 dollari), ma per le prove d’accusa che saranno portate in tribunale.
Un freddo calcolo
Uno dei documenti mostra che la Volkswagen aveva freddamente calcolato l’eventuale impatto finanziario che avrebbe avuto la scoperta della truffa. Un precedente caso - che riguardava la Hyundai Kia - era finito per costare alla casa coreana l’equivalente di 91 dollari per ogni auto venduta, “troppo poco per influenzare la valutazione del nostro titolo in borsa”, si legge nel rapporto. Le due procure intendono risalire la scala aziendale e imputare la responsabilità della truffa ai vertici dell’azienda.
La sfida ibrida
La vicenda infine è uno schiaffo all’orgoglio progettuale e ingegneristico che ha fatto la fortuna del marchio tedesco. Nel 2005 la direzione decise di portare un nuovo attacco sul fronte del mercato americano, l’unico a resistere alla forza di penetrazione della Volkswagen. Al momento l’astro del firmamento era la Toyota Prius, l’ibrido lanciato nella corsa che l’avrebbe portata nelle “top ten”. La Volkswagen non aveva un ibrido nel cassetto, ma era convinta che un’adeguata campagna pubblicitaria avrebbe imposto l’eco diesel come alternativa e consegnato la corona nelle sue mani. Undici anni dopo la Volkswagen ha annunciato che ritirerà i modelli diesel dal mercato americano, in attesa del debutto di un suo ibrido.