"Come on and let me know/ should I stay or should I go"? Era il 1982 quando Mick "Jonesy" Jones da Brixton, periferia sud di Londra e il suo gruppo punk rock, i Clash, travolgevano il mondo con questa domanda nella canzone omonima tratta dall'album "Combat Rock". A distanza di 35 anni non solo il punk è per fortuna ancora vivo e vegeto, ma la domanda di Jones è più attuale che mai. Tra pochi giorni - il 23 giugno - noi elettori inglesi saremo chiamati a scegliere se restare in Europa o prendere il largo con la nostra isola, abbandonando il continente al suo destino.
Secondo referendum
E' la seconda volta che il quesito "Europa si, Europa no" viene posto agli inglesi. La prima fu il 5 giugno 1975 - quando il sottoscritto e una buona parte dei votanti di oggi erano si e no riusciti ad imparare a non farla nel pannolino - e quella volta furono i laburisti di Harold Wilson, al governo da pochi mesi, a chiedere agli elettori un parere sulla presenza del Regno Unito nella UE, dopo il discusso ingresso del 1973 nell'allora Mercato Comune Europeo. Quello fu il primo referendum mai tenuto nel Paese a livello nazionale: i "SI" ottennero il 67% dei voti.
Stavolta è stato invece David Cameron, Primo Ministro e leader del Partito Conservatore ad inserire il tema nel proprio manifesto elettorale. E qui le promesse elettorali si mantengono. Quello che all'inizio sembrava un dibattito partito in sordina si è poi rapidamente sviluppato, conquistando il centro della scena politica nazionale, con adesioni importanti da un versante e dall'altro della contesa. Ad oggi, a pochi giorni dal voto, i sondaggi di opinione dicono che la scelta sarà probabilmente sul filo di lana con le due fazioni, politicamente trasversali rispetto ai partiti tradizionali, a darsi battaglia voto per voto.
Rischi per l'economia
A soffiare sul fuoco delle polemiche è stata la annunciata decisione del londinese di Paddington George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere, ovvero ministro dell'economia, di prevedere un deciso innalzamento delle tasse in caso di Brexit. Osborne, avvalendosi di una ricerca dell'Istituto di Studi Fiscali, ha paventato un possibile "buco" nei conti pubblici del governo di Sua Maestà di circa 30 miliardi di sterline. Per fare fronte a questa eventualità il ministro ha predisposto alcune misure, in particolare nel settore dei trasporti e della mobilità.
Tutto il mondo è paese
Quante volte - sentendo parlare degli aumenti delle accise sulla benzina che avvengono ciclicamente in Italia, da questa parte della Manica abbiamo sorriso. Bene, adesso tocca a noi. Osborne è stato chiaro in proposito: cinque per cento di aumento della Fuel Duty, la accisa sui carburanti, in caso di Brexit. E non è tutto qui. Il Cancelliere ha anche parlato del budget dei trasporti che potrebbe essere ridotto a sua volta del 5 per cento, con un riflesso negativo sugli investimenti per le nuove tecnologie, ad esempio. Anche i contributi statali per gli enti locali potrebbero subire dei tagli sostanziali riflettendosi, tanto per dirne una, sulla manutenzione delle strade, già spesso in condizioni precarie.
Le industrie dicono "SI"
Chi si è schierato senza dubbio per il "SI" e quindi contro la Brexit è l'industria automobilistica. Tutte le grandi case con interessi nel Regno Unito hanno preso apertamente posizione, a suon di numeri. Il 40% delle auto prodotte in UK viene venduto all'estero per un giro di affari di circa 15 miliardi di euro (dati 2014). I posti di lavoro collegati alla costruzione di auto sono 730.000 nell'intero Regno Unito e molti sarebbero a rischio. Sul fronte del "NO" si sostiene che in particolare i costruttori del lontano oriente, Toyota, Nissan, Honda, continuerebbero comunque ad investire dalle nostre parti e il Paese riguadagnerebbe la sua indipendenza nel gestire le policy di mercato, soprattutto nei confronti delle economie emergenti.
Yes or No
Lo scontro fra "Vote Leave", il fronte del "NO" e "Stronger in Europe", fautori del "SI" è però molto più vasto e comprende molti altri fattori da prendere in considerazione. Per le assicurazioni, ad esempio, si è aperto un dibattito se, dopo un eventuale addio alla UE, le compagnie non basate in UK avrebbero ancora la possibilità di operare nel Paese: se così non fosse si rischierebbe un aumento dei costi per la riduzione della concorrenza. Altro aspetto che da fuoco alle polveri è quello dei viaggi all'estero che, secondo la ABTA - la associazione degli agenti di viaggio - vedrebbero decisamente salire i prezzi in caso di Brexit. Attualmente gli inglesi spendono oltre 25 miliardi di euro in viaggi oltre la Manica e, anche se il Paese è già fuori dall'area Schengen dove ci si muove senza bisogno di passaporto, si teme che senza gli accordi UE si dovrà ricorrere ad un più costoso sistema di visti.
Carburanti ok
I costi dei carburanti - a prescindere dal discorso sulle accise che abbiamo già fatto - non dovrebbero essere interessati da un'eventuale uscita dalla UE, considerando che sono legati al prezzo del petrolio il quale a sua volta dipende da fattori che non sono coinvolti nel referendum come la quantità di greggio prodotta e il rapporto sterlina/dollaro.
Per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori, e quindi anche degli esperti che contribuiscono a mantenere il Regno Unito in una posizione di eccellenza nel campo dei più avanzati progetti ingegneristici legati all'auto, si profilano difficoltà in caso di Brexit. Stesso discorso vale per i rapporti internazionali riguardanti il soccorso stradale: in caso di uscita decadrebbero molti dei contratti firmati e si dovrebbe procedere ad una rinegoziazione spesso bilaterale, lunga e probabilmente alla fine più costosa per i 50 milioni di automobilisti britannici.
In conclusione... avrei voluto sdrammatizzare e chiudere questo articolo facendo una battuta ma proprio non ne ho voglia. La morte improvvisa e assurda della parlamentare laburista Jo Cox, attivista per il "SI", brutalmente uccisa per strada da uno squilibrato, forse xenofobo ed estremista, ha lasciato tutti senza parole, attoniti, raggelati. A questo punto non possiamo fare altro che attendere il risultato delle urne. E staremo a vedere se "should I stay or should i go"...