Ultimo aggiornamento  02 giugno 2023 07:28

Pneumatici, si vive solo due volte.

Giuseppe Cesaro ·

Muoiono neri e tondi, rinascono verdi e piatti. Indovinato? No, non si tratta delle sorprendenti metamorfosi di qualche rara specie animale. È qualcosa di molto più vicino a noi. Qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni e che svolge per noi un lavoro tanto prezioso quanto oscuro. Parliamo di un paio di scarpe davvero speciali: quelle che le nostre due o quattro ruote indossano per portarci in giro, nel modo più veloce, confortevole, economico e sicuro possibile: gli pneumatici.

È la tecnologia, non la natura, a rendere possibile la resurrezione di cui parliamo. Tecnologia che dà concretezza alla cultura del riciclaggio: risorsa fondamentale per la tutela dell’ambiente e della qualità della nostra vita. Presente e futura. Contrariamente a quanto le cronache quotidiane ci spingono a pensare, dunque, riciclaggio non è una parola sporca. Al contrario: è una delle più pulite. In questo caso, almeno. Grazie a lei, infatti, il rifiuto smette di essere rifiuto e diventa nuova materia. Riciclare significa, allora, offrire una seconda vita a cose che – come gli pneumatici, appunto – fino a ieri finivano in discarica, con le conseguenze ambientali che tutti, purtroppo, conosciamo.

Grazie all’istituzione (2012) del Comitato per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), oggi non è più così. Un passo avanti importante, come confermano le stime della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, secondo la quale, per ogni kg di gomma, acciaio e fibre tessili recuperato, c’è una riduzione di gas serra pari a circa 2 kg di anidride carbonica.

Nel solo 2014, dunque, il riciclo degli pneumatici dei veicoli a fine vita ha evitato l’emissione di quasi 40mila tonnellate di CO 2 , pari a quelle prodotte in un anno da una cittadina di 8mila abitanti. Tutto questo senza contare il fatto che l’avviamento di un sistema che coinvolge tutti - produttori, importatori, consumatori, gommisti, autodemolitori e riciclatori - ha, di fatto, ridotto a zero quegli smaltimenti illegali che, in passato, avevano riempito il nostro paese di discariche abusive.

Ma quanto ci costa tutto questo? Molto poco, sia in valore assoluto che in rapporto ai benefici ambientali che ne ricaviamo. Il “contributo ambientale” a carico dei cittadini, infatti, è di poco più di un euro a pneumatico per chi si sposta sulle ruote, e meno di tre per chi ne usa quattro. Nel primo caso, l’equivalente di cappuccino e cornetto, nel secondo di una abbondante colazione continentale. La cifra sale per autocarri (da 8,10 a 17,60€, a seconda del peso) e macchine agricole o industriali (dove può superare i 320€), ma, trattandosi di categorie professionali, il costo resta comunque contenuto.

Il contributo ambientale non è giornaliero e nemmeno annuale. Lo si versa solo quando si cambiamo gli pneumatici o si acquista un veicolo nuovo. A quel punto gli pneumatici fuori uso – quelli che non possono essere rivenduti come usati (PU) - vengono ritirati (gratuitamente) e consegnati a centri specializzati. Questi provvedono a triturarli, fino a ridurli in particelle minuscole, per separare gomma, metalli e fibre tessili. Da 20mila tonnellate di PFU si ricavano circa 13.000 tonnellate di gomma, quasi 4.000 di metalli e 2.000 di fibre tessili.

Materiali che possono rifarsi una vita, trasformandosi, ad esempio, in ottimo asfalto per manti stradali più silenziosi, duraturo, drenanti e sensibili alla frenata; piste di atletica leggera o campi da calcio, mattonelle morbide per lastricare le aree giochi riservate ai bambini, pannelli fonoassorbenti o suole per scarpe sportive. “Si vive solo due volte”, ammoniva Jan Fleming il papà di James Bond. Aveva ragione. Non ci aveva detto, però, che la seconda vita, a volte, può essere addirittura migliore della prima.

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