La nostra privacy si riduce ogni giorno di più. Grazie al cellulare tutti sanno dove siamo, con chi parliamo o chattiamo; migliaia di telecamere ci seguono in città; bancomat e carte di credito segnalano prelievi, acquisti e spostamenti ovunque nel mondo; le nostre navigazioni su Internet sono tracciate: si sa cosa cerchiamo, cosa ci piace e cosa compriamo. Siamo letteralmente circondati.
Il “grande fratello” non ci abbandona mai. Ma, se lasciamo a casa il cellulare, saliamo in macchina e ci muoviamo solo su strade secondarie, possiamo ancora sottrarci ai radar e goderci il brivido di qualche momento di libertà, soli con i nostri pensieri, immersi in qualche bel panorama rilassante. Giusto? No. Sbagliato. Non possiamo. Perché non siamo gli unici a essere connessi. Lo sono anche le nostre auto. E lo saranno sempre di più. E, mentre guidiamo, trasmetteranno un mare di informazioni.
Diranno dove siamo stati, dove ci troviamo, dove stiamo andando. Diranno qual è il loro stato di salute (giri del motore, chilometri percorsi, stato delle luci) e racconteranno il nostro stile di guida: quanti viaggi facciamo, quanti chilometri, quante volte le cinture di sicurezza sono scattate per una frenata improvvisa, dove ci siamo fermati a fare benzina o ricaricare le batterie.
Ma non è tutto: se il nostro smartphone viaggerà con noi, qualcuno riceverà dati ancora più personali, come i contatti della nostra rubrica o le nostre immagini. Lo sapevate? Molte di queste informazioni, è vero, sono importanti per la nostra sicurezza. In caso di incidente, infatti, soccorso stradale e ambulanza sapranno dove siamo e il loro intervento sarà più veloce ed efficace; in caso di guasto, il meccanico avrà un’idea più chiara di cosa serve per farci ripartire; potremo essere avvisati in anticipo su traffico e percorsi alternativi o sull’esigenza di raggiungere al più presto un’officina perché qualcosa non va.
È chiaro, però, che una massa di dati così dettagliati e costantemente aggiornati ha anche un enorme valore commerciale. Saranno, dunque, molte le realtà interessate a conoscerli: case produttrici, officine, benzinai, aree di servizio. In generale, tutte quelle attività commerciali per le quali queste informazioni rappresentano altrettante occasioni di business. I nostri dati, dunque, faranno la fortuna di molti. E la sfortuna di altri: gli esclusi dalla condivisione.
Ma a chi appartengono tutte queste informazioni così personali? Alle case, ai fornitori di beni e servizi o agli automobilisti? La risposta è ovvia: appartengono ai proprietari delle auto. Ovvia, ma non certa. Fino a quando, infatti, non ci sarà una normativa chiara e vincolante in materia, gli automobilisti rischiano di venire espropriati dei loro dati e diventare un mercato passivo, in balia di chi gestirà il flusso delle informazioni. Per scongiurare questo rischio e aiutarci a far valere i nostri diritti di consumatori informati ed evoluti, la Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) ha avviato una campagna internazionale di sensibilizzazione: “My Car, My Data” (“La mia auto: i miei dati”).
L’obiettivo è duplice: renderci consapevoli del problema e fare in modo che le autorità comunitarie intervengano, al più presto, con leggi chiare, trasparenti ed efficaci. L’Automobile Club d’Italia è il responsabile della campagna per il nostro Paese, e invita tutti a partecipare al sondaggio online.
I dati sono nostri. E nostri devono rimanere. Sta a noi, dunque, decidere se e quando attivare la connessione, quali dati trasmettere e quali no (“consenso informato”), a chi trasmetterli e a quali condizioni ricevere i servizi che ci vengono offerti. Tutto questo evitando, ovviamente, che il fatto di mantenere la proprietà dei dati possa convincere qualcuno a limitare l’accesso, ridurre la qualità ed alzare il prezzo di prodotti e servizi.