Di inquinamento atmosferico, polveri sottili e dei riflessi sulla salute di tutti noi sentiamo parlare sempre più spesso e con preoccupazione crescente. Al solito sono i dati scientifici a fornire il campanello d’allarme più evidente di una situazione che rischia di trasformarsi in catastrofe.
Nel 2015 – dice Legambiente nel suo recente studio “Mal’aria di città 2016”- ben 48 città italiane sono risultate fuorilegge per la concentrazione del pericolosissimo PM10, con la maglia nera attribuita a Frosinone, che ha sforato i limiti imposti dalla legge ben 115 volte. Ma non va meglio né in Pianura Padana né nelle grandi concentrazioni urbane.
Lo sforamento, va detto, riguarda quasi tutti i Paesi europei: anche se tra il 1990 e il 2010 l’emissione totale di PM10 e del suo “gemello infinitesimale”, il pericolosissimo PM2,5 in Europa è diminuita del 25%, tuttavia la necessità di rispettare i parametri per la salute è una delle priorità della Commissione europea. Continuando nei numeri, terribili sono le statistiche degli effetti dell’inquinamento – che non è dato solo dal PM ma anche da altri agenti ugualmente pericolosi – sulle vite dei cittadini europei. Secondo Legambiente ci sarebbero state nel 2012 400.000 morti premature nella Unione europea; in Italia 59.500 decessi prematuri per PM2,5; 3.300 per l’ozono; 21.600 per il biossido di azoto (anno 2012). I danni sociali sono stimati ad una cifra fra i 47 e i 142 miliardi di euro l’anno.
Il particolato atmosferico (PM – Particulate Matter, in inglese ) rappresenta oggi l’inquinante a maggior impatto ambientale nelle aree urbane: si tratta di particelle aerodisperse, solide o liquide a formare una concentrazione detta aerosol e si chiamano “primarie” quando sono emesse da sorgenti antropiche e “secondarie” che invece sono il risultato di reazioni chimiche e fisiche nell’atmosfera. Anche se il traffico non è l’unico responsabile dell’emissione nell’atmosfera di particolato – attribuibile in parte agli impianti di combustione non industriale e ai processi produttivi nell’industria dell’acciaio e del ferro - la concentrazione nelle aree urbane rappresenta una fetta importante (oltre il 27%) delle oltre 173.000 tonnellate di PM10 prodotti in Italia (dati 2008).
Inoltre si diversificano due tipi di particolato, differenziati per il diametro delle polveri. Il pm10, ovvero particelle microscopiche con un diametro aerodinamico uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro e il PM2,5, un particolato fine con diametro inferiore a 2,5 µm, cioè un quarto di centesimo di millimetro.
Il particolato - all’interno del quale si trovano idrocarburi, cadmio, nichel- prodotto soprattutto dai motori diesel - è responsabile di una serie di patologie che vanno dalle affezioni delle prime vie respiratorie a problemi molto più gravi. Infatti se le particelle più grandi possono essere filtrate agevolmente dal naso, man mano che queste scendono di misura, riescono a oltrepassare le barriere naturali e ad arrivare persino a livello degli alvei polmonari.
Anche se da un punto di vista strettamente medico si stanno ancora studiando gli effetti in particolare a lungo termine, è già noto come il PM10 sia responsabile specificatamente dell’insorgenza di patologie respiratorie come le bronchiti e l’asma. Ancora più pericolose le PM2,5 responsabili dell’insorgenza di tumori.